L’arte, nel corso della storia, ha sempre cercato di esprimere concetti della vita materiale, emotiva e intellettuale dell’uomo. Non dobbiamo dimenticarci, però, che essa sia sostanzialmente un veicolo: un’innocua imitazione del bene e del male e una produzione che, guidata dall’entusiasmo e dal pathos, prende innumerevoli forme tra cui la tragedia, la commedia, l’epica e tant’altro.
Nella saggezza antica troviamo un filosofo in particolare il cui pensiero potrebbe farci capire meglio il significato vero del concetto di arte. L’antico filosofo ateniese Platone fu drammaturgo prima di divenire allievo di Socrate ed intraprendere a vita la strada della filosofia; una via intrapresa così intensamente che, secondo quanto riportato da Cicerone nel “De amicizia”, morì ad 80 anni di vecchiaia mentre era intento sulla scrivania a scrivere un altro dei suoi dialoghi.
Il padre della filosofia, per quanto filosofo, rimase pur sempre un drammaturgo, e ciò lo si nota dal profondo simbolismo nella narrazione del dialogo e del mito che sono le fondamenta dei suoi dialoghi. È tramite la narrativa, la storia e il mito, infatti, che nell’uomo si crea quella scintilla sapienziale, emotiva ed esplosiva, il Pathos, che lo conduce alla piena comprensione di cosa si sta parlando.
Platone, dunque, si dedica anche all’arte e il platonismo, ovvero il pensiero filosofico, non è in antitesi con essa: anzi, l’arte può fornire allo stesso modo del ragionamento filosofico strumenti di coscienza volgendosi al bene o al male.
Quando si parla di arte e Platone si tende a fare l’analogia con il teatro per via del contesto in cui visse e per il fatto che è stato drammaturgo e ha scritto delle tragedie; ma, a distanza di secoli, il teatro si può ritenere detronizzato come mezzo per capire al meglio Platone. È, infatti, il cinema, tecnica artistica popolarissima del nostro immaginario collettivo, che permette spiegare il filosofo e le sue idee al meglio.
La tecnica cinematografica prevede una proiezione della pellicola grafica su tela e concepisce uno spettacolo di immagini che si muovono, non a caso infatti la parola “cinematografia” deriva dal greco kinema “movimento” e da gràfo “scrittura”. Il cinema, che fonde la grafica simbolica con i movimenti, le musiche, gli effetti e la complessità teatrali, è un’evoluzione artistica che può descrivere la reminiscenza platonica ed il viaggio verso le idee di cui il filosofo tratta nei suoi dialoghi.
Ma cos’è più semplicemente la teoria delle idee? Un ripasso non fa mai male; la teoria prevede che la conoscenza sia il ricordo che ha la nostra anima immortale e trascendentale degli archetipi di un mondo ideale e perfetto, chiamato Iperuranio (oltre-cielo dal greco).
Questa teoria viene introdotta inizialmente nel dialogo Menone: tramite il personaggio di Socrate, il quale crede nella dottrina pitagorica della reincarnazione, Platone tratta della conoscenza come un ricordo di simboli, simboli che permettono di conoscere, che si trovano nell’Iperuranio e che l’anima, nel suo viaggio da vita a vita, ha contemplato. Un’ulteriore analisi della teoria emerge nei dialoghi Fedone e Fedro, nei quali Socrate difende la dottrina dell’immortalità dell’anima e parla della vera bellezza come mezzo per ricordare le idee nell’anima: viene descritto il viaggio -caduta e risalita- tra il mondo divino ed il mondo fisico che l’anima stessa compie.
Ma solo nella Repubblica, dialogo sulla giustizia e la città ideale, Platone ci dà, con un rigoroso ragionamento ed un famoso mito, una spiegazione dei processi che permettono all’anima di ricordarsi delle idee immortali e condividerne poi la dottrina. La scala gnoseologica, cioè la scala per cui si arriva a comprendere qualcosa, prevede 4 stadi: conoscenza dell’immagine, conoscenza dell’oggetto fisico, conoscenza di concetti astratti e conoscenza noetica o universale. Nella Repubblica questa scala viene -come detto prima- esposta logicamente e poi tradotta nel mito della Caverna. Il mito parla di tre schiavi che fin da piccolo sono stati segregati ed incatenati in una caverna dove le uniche cose che vedevano erano ombre di oggetti e di schiavi che li portavano. Esse erano prodotte da questi schiavi che portavano gli oggetti e passavano davanti un fuoco alla fine della caverna, come al teatro cinese. Ma ad un certo punto uno di loro viene liberato dalle catene e costretto ad uscire fuori dalla caverna; una volta uscito fuori, egli inizierà il suo percorso prima adattando la vista agli oggetti sensibili, toccando l’erba e lavandosi nell’acqua, poi contemplando gli astri nel cielo notturno, ed infine ammirando il Sole nella sua essenza durante il dì. Lo schiavo successivamente cercherà di tornare nella caverna per liberare i suoi amici e mostrare loro la via del sole, ma verrà considerato folle e rischierà la morte, richiamo al suo maestro Socrate che venne condannato a morte da Atene sotto accusa di aver plagiato i giovani con le sue discussioni sulla virtù.
Perché Platone sia spiegabile con il cinema lo si capisce dal fatto che entrambi intendono far sentire lo spettatore come rinchiuso nella caverna, a credere all’illusione del movimento dei personaggi e della recitazione, perché in realtà ciò che vediamo sul grande schermo è una produzione gigantesca di miliardi di immagini immobili che con l’alternanza e la proiezione su tela generano impressione di mobilità. Il miglior film è il miglior “bugiardo” perché dà la falsa impressione che i pixel e le immagini siano vivi e fluidi anziché concatenati nel nastro. I film, inoltre, hanno una regola d’oro nella loro narrazione che si chiama “show, don’t tell”: un buon film è capace di minimizzare la narrativa espressa a parole per dare invece priorità all’immagine e far immergere lo spettatore nella storia; in questo modo, lo spettatore entra nella caverna e guarda le immagini che si susseguono. Proiezione, falso movimento, fascino ed immersione nella storia, passaggio da concetto a scena visiva…il cinema ci fa capire Platone perché ci ricorda della parte misterica e nascosta dell’essere: cioè un qualcosa che “sembra” ma che non “è”. La filosofia di Platone, dunque, è una riflessione sulla condizione dell’uomo: stiamo vivendo, pensando e agendo veramente bene o siamo manipolati da “mimesi” e “ombre”?
Alfredo Bonelli, V LES