Un testimone di una stagione della storia italiana che forse è lontana ma certo non finita, purtroppo. Giovanni Impastato, fratello del più noto Peppino, giornalista ucciso dalla mafia nel 1978, ha incontrato, Martedì 26 marzo 2019, gli alunni delle secondarie, a scuola.
In tre ore di incontro, intensissime e ascoltatissime, ha raccontato un mondo lontano dagli studenti ai quali parlava: la Sicilia; gli anni ’60 e ’70; il loro clima sociale e politico; i riferimenti culturali di quel tempo; la mafia di allora e le sue modalità. Un’organizzazione, però, che oggi ha solo cambiato abito, vestendo giacca e cravatta, e mezzi, la finanza piuttosto che la lupara o il tritolo, e che è presente e pervasiva nelle nostre città del nord Italia.
L’incontro si inserisce nel percorso di educazione alla legalità proposto agli alunni delle terze medie. Un cammino cominciato l’estate scorsa, prima dell’inizio dell’anno scolastico, con la lettura di “Per questo mi chiamo Giovanni” di Luigi Garlando, assegnato come compito delle vacanze. Da settembre in poi il percorso è continuato con un ciclo di lezioni tenute dai formatori dell’Associazione Libera e con la gita scolastica in Sicilia, visitando i luoghi significativi della storia legata alla Mafia. Sono ancora previste delle attività laboratoriali presso Binaria del Gruppo Abele e, per finire, un appuntamento con don Ciotti, martedì 16 Aprile prossimo venturo.
Il progetto unisce diversi aspetti della funzione educativa della scuola: quella propriamente didattica e, insieme, quelle alla legalità e quella alla cittadinanza consapevole.
La storia di Peppino Impastato raccontata dal fratello è stata tutto ciò: presa di coscienza della malvagità della mafia e azione di contrasto con scelte che hanno modificato (anche dolorosamente) la sua vita personale e familiare; con l’animazione culturale; con la fondazione di un giornale d’inchieste e con le armi dell’ironia.
Per tutto ciò Peppino ha perso la vita, e gli alunni della scuola sono stati ben consapevoli del significato di queste parole. Lo hanno dimostrato le domande che hanno rivolto al relatore. Pur nella consapevolezza della gravità delle scelte di Peppino, però, hanno colto che anche senza essere eroi o martiri civili, ciascuno ha la sua parte nella battaglia per la legalità. E le armi sono quelle che la Sacra Famiglia propone: formazione umana; formazione culturale; attenzione alla società che li circonda; pensiero critico e consapevole.