Con il passare degli anni, il mondo dei videogiochi ha subito un cambiamento radicale, sviluppando nuove tecniche di guadagno che hanno trasformato il rapporto tra i giocatori e i contenuti digitali.
Fino a un decennio fa, i videogiochi si acquistavano una sola volta, con un prezzo fisso che garantiva l’accesso completo al prodotto. Ad esempio, Grand Theft Auto V, uscito nel 2013, offriva un’esperienza completa senza necessità di acquisti aggiuntivi nella modalità storia. Al giorno d’oggi, invece, il mercato ha subito una trasformazione, adottando modelli economici che stanno causando un frequente aumento delle problematiche finanziarie e psicologiche tra i giocatori.
Il termine shoppare significa letteralmente acquistare beni virtuali, come skin, vantaggi o oggetti esclusivi: è diventata una pratica comune tra milioni di persone in tutto il mondo. Fortnite, ad esempio, permette ai giocatori di acquistare V-Bucks per ottenere costumi, emote e vari elementi estetici che non influiscono sulla bravura di chi gioca, mentre EFootball si basa su acquisti in-game per ottenere valute virtuali utili a migliorare la propria squadra, influendo sulla prestazione nel videogioco.
Tuttavia, questa tendenza porta gravi conseguenze economiche oltre che psicologiche.
Dal punto di vista economico, spendere denaro nei videogiochi può apparire come una piccola spesa, specialmente quando si tratta di microtransazioni. Se ripetute più volte, però, queste spese portano a cifre elevate. I giochi free-to-playbasano il loro guadagno su vantaggi, eventi a tempo limitato o oggetti esclusivi, acquistabili con un semplice clic. Un esempio è Call of Duty, che permette di acquistare pass stagionali per ottenere ricompense esclusive.
I giovani sono particolarmente vulnerabili perché spesso non hanno piena consapevolezza del valore del denaro. Di conseguenza, ripetono acquisti senza rendersi conto dell’impatto economico, causando talvolta difficoltà finanziarie alle loro famiglie. Ci sono stati casi in cui adolescenti hanno speso migliaia di euro in giochi come FIFA per acquistare pacchetti FUT, senza rendersi conto delle conseguenze economiche reali.
Inoltre, dal punto di vista psicologico, shoppare è spesso legato allo stimolo di ripetere l’acquisto quotidianamente, seguendo lo stesso principio del gioco d’azzardo. Un esempio evidente è quello delle loot box, come in Overwatch, dove vengono sfruttate meccaniche casuali per spingere i giocatori a spendere denaro nella speranza di ottenere oggetti rari, proprio come avviene nelle scommesse.
C’è inoltre da considerare che possedere un oggetto esclusivo o costoso in un videogioco può dare un maggiore senso di superiorità rispetto agli altri giocatori, aumentando la propria autostima. Ad esempio, in Fortnite, chi possiede skin più rare è più acclamato all’interno della community di gioco. Questa sensazione di benessere, però, è illusoria: spesso il giocatore, dopo aver effettuato l’acquisto, non si sente soddisfatto e ripete l’operazione più volte, cercando di ristabilire quella sensazione di appagamento.
Nonostante gli aspetti negativi, diverse persone considerano shoppare una pratica positiva, perché decidono volontariamente di spendere denaro per migliorare la propria esperienza di gioco, ritenendo questi oggetti esclusivi più interessanti rispetto a quelli disponibili di default.
Di solito non faccio uso abituale di queste pratiche, ma ho effettuato acquisti occasionalmente in alcuni giochi. Anche se in alcuni casi gli acquisti sono volontari, spesso derivano da difficoltà psicologiche o strategie di marketing degli sviluppatori, inducendo il giocatore a non rendersi conto che gli oggetti acquistati non hanno un valore reale.
Personalmente, ritengo necessario un maggiore equilibrio: i videogiocatori dovrebbero gestire le proprie spese in modo consapevole, mentre le aziende dovrebbero adottare strategie di guadagno più corrette, ad esempio limitando le promozioni all’interno del videogioco e rendendo gli oggetti esclusivi accessibili a tutti, garantendo parità anche a chi ha difficoltà economiche.
In conclusione, ritengo che shoppare nei videogiochi sia un fenomeno da trattare con delicatezza, affinché non danneggi la salute e il portafoglio di chi gioca quotidianamente. Aumentare la consapevolezza su questi meccanismi aiuta a evitare che un semplice passatempo si trasformi in un’ossessione.
Il divertimento non va misurato in base alla ricchezza o a ciò che si acquista nei videogiochi, bensì dalle emozioni che il gioco stesso riesce a trasmettere.
Alessandro Soffietti, III LES